ECONOMIA AZIENDALE
INTRODUZIONE
In questa sezione della tesina multidisciplinare, in materia di Economia Aziendale, coerentemente col tema generale dell’illegalità, anche di stampo mafioso, intendo esporre il reato di falso in bilancio.
Introdurrò quindi le caratteristiche generali del reato, i fini che si propone chi lo pone in atto e per concludere inquadrerò brevemente il falso in bilancio all’interno dell’ordinamento civile del nostro Stato, con particolare riferimento alla Legge 69 del 27 maggio 2015.
CARATTERISTICHE GENERALI DEL FALSO IN BILANCIO
Il falso in bilancio, chiamato anche frode contabile, consiste nella compilazione di false comunicazioni sociali, cioè nella preparazione di un rendiconto non veritiero dei fatti accaduti e degli indicatori significativi che invece avrebbero dovuto essere evidenziati con onestà e correttezza.
Il bilancio di un’azienda è un documento che si redige per consentire a soci e terzi di reperirvi le informazioni di base necessarie per assumere decisioni commerciali o di natura economica sull’azienda stessa. Il bilancio serve per trasmettere informazioni non solo agli investitori, ma anche ai lavoratori e alla collettività. Per questo motivo la corretta compilazione di questo documento è considerata obbligatoria e irrinunciabile per garantire un quadro attendibile e veritiero sullo stato di salute dell’azienda. La scorretta compilazione, l’omissione o la falsificazione dei dati necessari a rappresentare la reale situazione aziendale è quindi considerata un reato in quasi tutti gli ordinamenti.
Il bilancio di un’azienda è composto di “dati oggettivi“, riferibili cioè a valori numerici riscontrabili nei fatti, e di “dati di stima“. Questi ultimi riguardano valori che l’azienda attribuisce a voci di bilancio che devono essere aggiornate ogni anno in considerazione delle variazioni dei mercati d’interesse.
Per esempio, fra le immobilizzazioni il valore di un bene immobile da iscrivere a bilancio, dipende da una stima la cui rispondenza alla reale situazione di mercato è basata sulla corretta valutazione di un perito. Quindi il dato stimato proviene da una fonte “soggettiva”, cioè non ha un riscontro oggettivo su dati numerici, ma è una valutazione personale operata da un professionista. Deperimenti, avarie, deprezzamenti e svalutazioni dei beni componenti il patrimonio dell’azienda sono valutati in modo non oggettivo, ma stimandone il valore. Volendo orientare la visione dei risultati dell’azienda, spesso si manipolano questi dati compromettendo la veridicità del documento di bilancio.
Anche i dati oggettivi possono essere manipolati al fine di alterare il quadro generale di un’azienda. Ad esempio, per diminuire gli utili reali di un’impresa, si nascondono sin dall’origine i ricavi, omettendo o falsificando l’emissione delle ricevute fiscali e dichiarando costi che non sono mai stati sostenuti (spesso si usa la falsa fatturazione da parte di terzi). Invece, nel caso contrario in cui si intenda rappresentare una condizione migliore, si nascondono i costi e si esaltano i ricavi.
Quindi per alterare il bilancio si usano due tipi di falsificazioni: il “falso materiale”, realizzato manipolando i dati oggettivi e il “falso in valutando”, realizzato attraverso l’alterazione dei dati di stima.
Esistono anche altre classificazioni del reato come il “falso qualitativo” e il “falso per induzione”. Il primo si attua alterando dati che non modificano il risultato economico o l’entità complessiva del capitale, ma cambiano comunque la rappresentazione che viene fornita. Il secondo si ha quando si manipola un bilancio attraverso l’inclusione di dati falsi provenienti da bilanci di altre società, questo si verifica spesso nei gruppi. Infatti, nei gruppi societari, il semplice spostamento di determinate partite da una società all’altra dello stesso gruppo, altera la veridicità dei rispettivi bilanci. Per esempio si creano finti conti di credito e debito fra una società e l’altra, creando così interessi e/o more e penali, in realtà inesistenti.
La figura del revisore contabile ha il compito di controllare la correttezza e la veridicità del bilancio preparato dall’azienda.
FINI DEL FALSO IN BILANCIO
Falsificando i bilanci, attribuendosi crediti o garanzie che in realtà sono inesistenti o minori di quanto pubblicamente evidenziato, si vuole migliorare la reputazione commerciale dell’azienda al fine di ottenete più agevolmente i finanziamenti ricercati. In questo modo si truffano le banche, gli istituti di credito e i fornitori che devono valutare le condizioni di pagamento da concedere all’azienda.
Un altro scopo del falso in bilancio consiste nel raggiungere accordi e alleanze con altre aziende, presentando loro un quadro falsamente ottimistico sulle potenzialità dell’azienda. In questo modo s’inganna chi acquisisce nuove quote di proprietà basandosi su quelle false informazioni e s’inganna il mercato borsistico. Il falso in bilancio ha anche effetti sulla distribuzione dei dividendi commisurati ai risultati aziendali dichiarati, alterabili quindi in vantaggio o in debito degli azionisti.
Inoltre e questo è il fine che più attiene al tema conduttore della mia tesina, la falsificazione contabile è usata per la creazione di una liquidità parallela e illecita (nascosta e non ufficiale) dell’azienda: i cosiddetti fondi neri, spesso utilizzati per commettere reati come la corruzione o il riciclaggio di denaro sporco, l’evasione fiscale e l’indebito arricchimento di soggetti capaci di appropriarsi delle somme occultate.
In caso di bilancio contraffatto, esiste anche una diretta responsabilità dei revisori contabili che avrebbero dovuto rivelarne la natura non veritiera. Questi possono essere accusati di cattiva qualità dei controlli o addirittura di complicità o favoreggiamento con gli amministratori che hanno preparato quel bilancio.
FALSO IN BILANCIO NELL’ORDINAMENTO CIVILE
Il falso in bilancio è oggi regolato da quattro articoli del Codice Civile:
- l’articolo 2621 (“false comunicazioni sociali”)
- l’articolo 2621-bis (“fatti di lieve entità”)
- l’articolo 2621-ter (“non punibilità per particolare tenuità del fatto”)
- l’articolo 2622 (“false comunicazioni sociali nelle società quotate”)
Il falso in bilancio (solo art. 2621) era inizialmente punito con la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da 10.000 a 100.000 lire. La riforma del 1986 ha ribattezzato il reato in “False comunicazioni ed illegale ripartizione di utili o di acconti sui dividenti”, prevedendo la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da due milioni a venti milioni di lire.
Nel 2002 il governo Amato inviò al Parlamento un disegno di legge su questa materia. L’anno successivo il Governo Berlusconi riprese quel disegno di legge, il Parlamento lo modificò e lo approvò, depenalizzando di fatto il reato. Il decreto legislativo del 2002 divise il reato in due:
Le “false comunicazioni sociali” (art. 2621), sanzionate con l’arresto fino ad 1 anno e 6 mesi e le “false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci e dei creditori” (art. 2622) sanzionato con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Se il reato era commesso da società quotate in borsa, allora era punito con la reclusione da 1 a 4 anni, ma solo se la società, i soci o i creditori, presentavano querela. Erano inoltre state previste tutta una serie di attenuanti in presenza delle quali il falso in bilancio non era più punibile. Nel 2005 furono apportate piccole modifiche aumentando la pena prevista dall’art. 2621.
LEGGE N. 69/2015
Il 27 maggio del 2015, con la Legge n. 69/2015, conosciuta come “Legge anti corruzione”, in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio, il Governo Renzi ha riscritto completamente il reato di falso in bilancio, eliminando la depenalizzazione del 2002 e riportando il reato in ambito penale. La nuova norma oggi distingue tra:
- false comunicazioni sociali in società non quotate (art. 2621 c.c.) ed in società quotate e ad esse equiparate (art. 2622 c.c.), che sono sanzionate come reati “di pericolo” e non più “di danno”;
- per le false comunicazioni sociali in società non quotate, si prevedono ipotesi attenuate per fatti di lievi entità (art. 2621-bis c.c.) e di non punibilità per particolare tenuità (art. 2621-ter c.c.).
Nel 2015 si è passati da una differenziazione basata sull’esistenza di danni nei confronti della società, dei soci o dei creditori ad una distinzione basata sul contesto societario nel quale le false comunicazioni sono state attuate.
La nuova fattispecie di falso in bilancio, sia per le società quotate che non, richiede che le condotte di esposizione o di omissione di fatti materiali non rispondenti al vero siano capaci d’indurre altri in errore.
Questi delitti quindi, sono oggi considerati “reati di pericolo” e non più di “reati di danno”, in quanto non è necessario dimostrare che ne sia derivato un effettivo danno per qualcuno, per conclamare il reato è sufficiente aver posto in essere azioni capaci d’indurre in errore chi legge il bilancio.
Questo significa che, mentre prima per verificare l’esistenza di falso in bilancio era necessario che qualcuno chiamasse in giudizio la società per il danno subito, adesso è possibile per il giudice procedere d’ufficio, su semplice segnalazione di reato, anche da richiesta motivata dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza.
Per le società quotate è prevista una pena da 3 a 8 anni, in caso di falso in bilancio con l’inserimento consapevole di comunicazioni sociali e dati rilevanti non rispondenti al vero.
Per le società non quotate la pena varia nello stesso caso tra 1 e 5 anni. In caso di fatti di lieve entità le pene per le società non quotate variano da 6 mesi a 3 anni.
Nel 2015 è stata inoltre inserita la norma sulla tenuità del fatto che prevede l’archiviazione di alcuni fatti di lievissima entità.
La legge del 2015 ha infine eliminato le soglie di non punibilità introdotte nel 2002 e ha abolito la necessità della querela. Oggi Per il reato di falso in bilancio, come già detto, si procede d’ufficio tranne nel caso delle piccole società non quotate e al di sotto dei limiti di fallibilità per le quali è ancora possibile procedere solo su querela.
La legge n. 69/2015 è detta Legge anticorruzione, perché, oltre al reato di falso in bilancio, tratta anche di aumenti di pena per i reati di corruzione, concussione e associazione mafiosa. In particolare per quest’ultimo reato si prevede l’inasprimento da 5 fino a 11 anni in più rispetto alle pene precedenti.
Per i colpevoli di corruzione stabilisce, oltre alla pena detentiva, il divieto di fare contratti con la pubblica amministrazione per non meno di 5 anni.
La stessa Legge tratta del patteggiamento per i reati di concussione, ottenibile restituendo integralmente il prezzo o il profitto del reato commesso.
La Legge prevede anche sconti di pena per i collaboratori che aiutino a individuare altri responsabili o che aiutino a sequestrare le somme distolte.
Infine, la Legge n.69/2015 ha anche aumentato i poteri dell’Autorità anticorruzione che eserciterà la vigilanza e il controllo anche sui contratti pubblici e i relativi lavori.